ALLENARSI PER PIACERE O PER DOVERE? QUANDO L’ATTIVITA’ FISICA DIVENTA UNA VERA DIPENDENZA
Gli effetti positivi dell’attività fisica sulla salute a livello fisico, psicologico e sociale sono ormai noti e ben riconosciuti. Il movimento permette di mantenere la forma, riducendo il grasso corporeo, migliora le prestazioni fisiche, muscolari e l’aspetto esteriore, incrementa le capacità cardiovascolari e respiratorie, agisce preventivamente sull’insorgenza di patologie e difficoltà fisiche o rappresenta un’ottima fonte di riabilitazione. È indubbio che migliori il tono dell’umore, riduca i livelli di ansia e stress, incrementi la percezione di autoefficacia e l’autostima. L’acquisizione di un maggiore senso di benessere percepito inoltre migliora le relazioni sociali.
Sempre più spesso però viene superato il limite di praticabilità. L’attività fisica sembra diventare la prima, spesso sola e unica, fonte di preoccupazione e occupazione della giornata, una vera e propria “droga” o fonte di dipendenza.
Negli ultimi anni molti studi hanno analizzato, cercato di comprendere e definire quella che viene chiamata dipendenza da sport o Exercise addiction, al fine di riconoscerla, classificarla, prevenirla e poter individuare trattamenti validi ed efficaci.
Quello che distingue un individuo “sport dipendente” da un appassionato assiduo frequentatore di realtà sportive, non è solo la frequenza di allenamento, seppur importante. Sarebbe infatti assurdo pensare che tutti gli atleti di alto livello, che praticano allenamenti estremi per molte ore alla settimana siano dipendenti. E’ evidente che vadano osservati anche molto altri parametri.
Per parlare di una vera e propria dipendenza dobbiamo individuare:
- Pratica sportiva eccessiva e non controllata rispetto ai programmi di allenamento, che vengono continuamente modificati e incrementati
- Tendenza ad aumentare la quantità di esercizio per percepire gli effetti desiderati
- Mancanza di controllo, incapacità di interrompere l’attività fisica, anche per brevi periodi
- Pensiero ricorrente incentrato sull’allenamento, la programmazione dello stesso e la successiva analisi
- Compromissione delle altre attività, con riduzione degli interessi, calo della prestazione, attenzione e concentrazione a casa e al lavoro
- Vere e proprie crisi di astinenza, ovvero sintomi fisici e psicologici derivanti dall’assenza di attività come ansia, irritabilità, agitazione muscolare e disturbi del sonno
- Perseveranza e continuità dell’allenamento anche in presenza della consapevolezza della sua nocività, dolori fisici e affaticamento costante, stanchezza cronica, problematiche sociali, lavorative e famigliari
- Senso di colpa se non ci si allena
- Assunzione di comportamenti maniacali, stereotipati e continui, spesso paragonabili a ossessioni e manie.
Gli indizi sono quindi di diversa natura e comprendono aspetti psicologici e comportamentali di diverso tipo, accanto ai quali possiamo osservare motivazioni ossessive alla pratica sportiva, modificazioni dell’alimentazione, condotte anoressiche o bulimiche, (specialmente nelle donne), utilizzo di sostanze per incrementare la massa muscolare fino a sviluppare un vero e proprio disturbo dell’immagine corporea, con pensieri fissi sulla muscolatura e la forma fisica (prevalente nei maschi). I “dipendenti da sport” prediligono praticare la loro attività da soli. Questo non è in realtà una scelta di piacere. Essendo da soli, infatti, possono mentire e ingannare gli altri rispetto al tempo trascorso ad allenarsi, riducendo in questo modo esposizioni a critiche o preoccupazioni eccessive, non comprese e giustificabili dal diretto interessato.
Cosa causa la dipendenza dall’attività fisica?
Data la complessità del fenomeno, è davvero difficile definire le cause alla base, che vanno indagate nel singolo individuo e comprese nella loro unicità. Tuttavia, a livello generale possiamo individuare motivazioni di natura psicologica come bassa autostima, scarsa soddisfazione di sé e del proprio corpo, necessità di mettersi alla prova e dimostrare ad altri, prima che a se stessi, di avere valore e raggiungere scopi prefissati, manifestati nel miglioramento della forma fisica e delle abilità di allenamento, senso di incapacità, inadeguatezza e svalutazione costante. L’attività costante infatti permette di raggiungere obiettivi, incrementa la fiducia in sé e il senso di autoefficacia, appagando i pensieri costantemente negativi sul sé e la svalutazione, migliorando il benessere e l’autostima. Lo sport diventa l’unica realtà in cui ci si sente adeguati e si prova piacere e gratificazioni. Una sorta di fuga dal resto della realtà, evidentemente non così soddisfacente.
Ad incrementare la frequenza assidua vi sono poi cause fisiologiche derivanti dal rilascio di neurotrasmettitori associati al movimento: si tratta in particolare di dopamina e beta-endorfine. La dopamina è un neurotrasmettitore implicato nel circuito di appagamento e ricompensa tipico delle dipendenze. Le beta-endorfine invece, sono sostanze naturalmente prodotte dal nostro sistema cerebrale con effetti analgesici paragonabili a quelli della morfina e dell’eroina. Generando uno stato di rilassamento, riducono lo stress e migliorano il tono dell’umore. Praticando attività fisica produciamo anche serotonina, implicata nel tono dell’umore e adrenalina, associata a stati di eccitazione e attivazione. Gli effetti fisiologici positivi portano quindi ad un’assidua ricerca del fattore di benessere, attraverso, in questo caso la pratica sportiva. Quale possibilità migliore che non praticare un’attività ritenuta di per sè sana e con molteplici effetti, per attivare la chimica del nostro corpo? Ancora una volta è importante sottolinearne l’abuso, ovvero la pratica eccessiva.
Il riconoscimento precoce di Exercise Addiction è funzionale alla riduzione dei rischi, tipici di una dipendenza come astinenza ed overdose caratterizzata dalla spinta alla pratica fino a livelli di esaurimento fisico e mentale con ripercussioni importanti sulla salute. Nello specifico vi è un aumento del rischio di infortuni, patologie muscolo-scheletriche, cardiovascolari e altro, alterazione della condotta di vita, con ripercussioni sulla famiglia, le relazioni di coppia e amicali, perdita del lavoro, patologie alimentari e disperazione causato dall’impossibilità di controllo della pratica sportiva.
Tuttavia laddove la prevenzione non sia efficace e funzionale è bene ricorrere a trattamenti adeguati e tempestivi che non implicano una sospensione drastica degli allenamenti ma un ripristino della corretta considerazione, cognizione e del ruolo dello sport nella vita dell’individuo. Essendo una problematica comportamentale con alla base delle convinzioni errate, una delle terapie maggiormente efficaci risulta essere quella di matrice cognitivo-comportamentale volta a supportare lo sportivo nel raggiungimento di una pratica adeguata e salutare. Il primo passo è, ovviamente, la motivazione alla terapia, aiutando il raggiungimento della consapevolezza della pratica nociva ed eccessiva, distinta da una salutare e funzionale al benessere. In secondo luogo è bene lavorare sulle convinzioni erronee legate per esempio all’immagine corporea, al controllo, alla stima di sé e al ruolo dell’esercizio fisico, dei suoi benefici o effetti negativi.
Al pari di altre patologie è bene tenere in considerazione la presenza di altre difficoltà o disturbi in comorbilità, spesso legati alla sfera alimentare o ossessiva, al fine di lavorare in modo funzionale al benessere.
Michaela Fantoni
Milena Rota