Paura di cosa?
L’ansia è una delle reazioni umane più comuni. Si tratta di un’esperienza universale, riscontrabile in varie culture che, nella maggior parte dei casi, ha un carattere transitorio. La semplice presenza di uno stato di apprensione o di timore non è certo segno di psicopatologia.
Ma che cos’è e quando proviamo ansia? Riporto una definizione che prediligo tra le tante “L’ansia costituisce l’emozione di base direttamente associata alla percezione di un pericolo per l’integrità, la salute o la sopravvivenza di un individuo o di individui per i quali sia in atto un meccanismo innato o consapevole di protezione…rappresenta un’emozione altamente protettiva della sopravvivenza dell’individuo e della specie, costituendo la base motivazionale ed emotiva dell’evitamento dei pericoli o della risposta comportamentale a essi, come anche dell’orientamento dei processi di adattamento.” cit. Enciclopedia Treccani.
Quindi l’ansia è una emozione normale, che proviamo ogniqualvolta percepiamo una minaccia. Le manifestazioni sintomatiche sono in realtà processi che il nostro sistema nervoso mette in gioco per difenderci. Ma allora perché ci dà così fastidio e non vogliamo assolutamente provarla? L’ansia che ci fa paura è quella dovuta a “un abbassamento della soglia di percezione del pericolo, tale da indurre lo sviluppo di risposte di allarme rispetto a oggetti o situazioni, sia reali sia (nell’uomo) intrapsichici, obiettivamente poco o per nulla minacciosi” cit. Enciclopedia Treccani
Lo sviluppo dello stato ansioso è certamente dovuto alla combinazione di più cause. Chi tende ad avere un vissuto ansioso ha un modo abituale di pensare, reagire e interpretare automaticamente alcune cose come minacciose, come perdere una gara, fare una brutta figura, non riuscire a rispondere alla domanda del professore, non riuscire a guidare la propria auto in autostrada, e molte altre situazioni che per alcuni di noi non hanno una valenza particolare, ma per altri assumono il ruolo, appunto, di “minaccia”. Questa visione delle cose può formarsi sulla base delle esperienze di vita precedenti, in particolare sugli eventi di vita stressanti e, per esempio, sui comportamenti e giudizi da parte delle persone importanti nella nostra vita. L’ansia diventa un problema se tende ad essere eccessiva, pervasiva, di lunga durata, poco controllabile dal soggetto e comporta malessere, disagio e condizioni di vita disfunzionali.
L’ansia, tuttavia, può risultare utile in certe circostanze, soprattutto quando si deve rispondere rapidamente ad un pericolo. Facciamo un esempio:
Stiamo per attraversare, sulle strisce pedonali, una strada larga e trafficata. Improvvisamente ci si accorge che un camion sta proseguendo nella nostra direzione a buona velocità e non accenna a rallentare. Cosa facciamo? Molto banalemente, per “salvarci” iniziamo a correre verso il marciapiede, che è alcuni metri più in là.
Quando il cervello si accorge del pericolo, avvengono nel corpo numerosi cambiamenti automatici, conseguenza della “scarica di adrenalina” innescata dal nostro sistema nervoso autonomo
- la mente diventa più vigile
- aumenta la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa
- aumenta la sudorazione, per favorire il raffreddamento del corpo
- il sangue viene deviato verso i muscoli
- i muscoli diventano tesi e pronti per l’azione
- la digestione rallenta
- diminuisce la produzione di saliva e la bocca diventa secca
- aumenta la frequenza del respiro. Le narici e le vie respiratorie si dilatano per far affluire l’aria più velocemente ai polmoni
- il fegato rilascia zuccheri per fornire rapidamente energia
- aumenta la capacità di coagulazione del sangue, per prepararsi ad eventuali ferite
- diminuisce la capacità di risposta del sistema immunitario
Questo insieme di reazioni fisiologiche, conosciute come risposta di “attacco o fuga”, ci permettono di essere in grado di correre molto velocemente verso il marciapiede per non essere investiti. Data l’universalità della risposta ansiosa, si ritiene che abbia un importante ruolo nei meccanismi di apprendimento e di sopravvivenza.
Le modificazioni fisiologiche suddette producono, oltre che un’emozione di apprensione e spavento, le seguenti manifestazioni sintomatiche: tremori, irrequietezza, tensione muscolari, sudorazione abbondante, fiato corto, batticuore o accelerazione del battito, mani fredde e sudate, accelerazione del respiro, bocca secca, vampate di calore o brividi di freddo, nausea, sensazione di “nodo allo stomaco”, accellerazione dell’ideazione e dei processi di memoria, oltre all’aumento dell’attività sensoriale. La risposta di attacco o fuga è stata molto utile quando, nel passato, i nostri avi dovevano combattere contro gravi e imminenti pericoli fisici, come, per esempio, quelli rappresentati dagli animali predatori.
Certo la risposta di attacco e fuga è di poca utilità nelle situazioni stressanti del giorno d’oggi: non serve a molto correre quando un vigile ci ferma o lottare fisicamente quando si discute con il capoufficio.
Tuttavia, vi è una manifestazione della risposta di “attacco e fuga” che può spesso essere utile anche oggi: l’aumento dello stato di vigilanza mentale. Infatti può aiutarci a fare meglio in attività impegnative. Non si dà il meglio di sé se si è completamente rilassati quando si affronta un esame, si gioca una partita o si discute un problema importante con i colleghi.
Certo è vero che quando si diventa troppo ansiosi, la capacità di risolvere i problemi, ad esempio affrontare un importante colloquio di lavoro, diminuisce, perché l’ansia riduce la capacità di pensare chiaramente e di agire in modo ragionevole, e può render incapaci di fare anche le cose che si sanno fare bene. Idealmente, per raggiungere il massimo dell’efficienza, si dovrebbe essere calmi in situazioni normali e un po’ ansiosi, tesi e vigili, ma non troppo, in situazioni difficili.
Come ben evidenzia il diagramma (tratto da Andrews, 2003) sulla relazione tra ansia e prestazione, a basso livello di ansia corrisponde una bassa prestazione cosi come a livelli di ansia eccessivi. Tuttavia provare la “giusta ansia” corrisponde ad alti livelli di performance e in questo caso possiamo parlare di attivazione.
Il nostro obiettivo non deve quindi essere quello di combattere l’ansia ma di imparare a tenere il livello di attivazione nella posizione ottimale in modo da permetterci sempre buone prestazioni.
Michaela Fantoni